Dal mese di agosto del 2020 l’Italia si è finalmente allineata alle raccomandazioni dell’Organizzazione mondiale della sanità, e alla prassi seguita nei paesi occidentali, riguardo alla più moderna modalità per l’interruzione volontaria della gravidanza: quella basata sulla semplice assunzione del farmaco noto come RU486, alternativa alla ben più invasiva modalità chirurgica tradizionale, senza la necessità di un ricovero ospedaliero.
Le linee guida emanate dal Ministero della salute hanno fatto seguito agli autorevoli pareri precedentemente espressi nella stessa direzione dal Consiglio superiore di sanità e dall’Agenzia italiana del farmaco.
Tuttavia, la disinformazione sull’argomento rappresenta ancora oggi un problema. L’aborto viene da alcuni demonizzato, nonostante la sua legalizzazione ne abbia ridotto la pratica, e la donna che abortisce è spesso colpevolizzata.
L’espiazione di tale colpa non potrebbe per essi prescindere da un percorso quanto più irto e doloroso possibile, da pagare obbligatoriamente come fosse parte del ticket; rendere le cose più semplici contrasterebbe con questo loro impeto punitivo.
Per questo l’Uaar ha lanciato una campagna che al contrario descrive l’aborto farmacologico per quello che è: una conquista per la salute delle donne da difendere e promuovere come valida alternativa, e lo fa con l’immagine di Alice Merlo, una donna che ha sperimentato in prima persona questa modalità e difende la sua scelta.
«Nel tempo in cui viviamo, fatto di necessarie compressioni delle libertà individuali e ancor più di limitazioni nell’accesso alle strutture sanitarie», puntualizza il coordinatore del circolo Uaar di Ragusa Massimo Maiurana, «a maggior ragione è necessario preferire sistemi che evitino a queste donne di recarsi in ospedale. Dire di sì allo smart working e alla didattica a distanza e contemporaneamente obbligare le donne a recarsi in ospedale per una Ivg, come cercano di fare alcune regioni – allo stato attuale Umbria Marche e Abruzzo – è qualcosa di insensato. Ma ancora prima, ostacolare inutilmente le donne nell’esercizio di un loro diritto è irrispettoso nei loro confronti e indegno di una società civile».